Patrik Ourednik

Publié le martedì  20 marzo 2012
Mis à jour le domenica  8 agosto 2021

Patrik Ourednik è un autore ceco, nato a Praga nel 1957.

Autore di una ventina di libri e traduttore in ceco di Rabelais, Jarry, Queneau, Beckett, Michaux o Vian, nel 2001 pubblica un libro che girerà il mondo, Europeana. Breve storia del XX secolo.

Patrik Ourednik trascorre la giovinezza nella Cecoslovacchia degli anni ‘70, nel pieno della “normalizzazione” che aveva messo fine alle speranze della Primavera di Praga. Firmatario della Petizione per la liberazione dei prigionieri politici [1] ed editore di samizdat, è escluso dall’Università per “non-conformità idelogica”. Nel 1984 si esilia in Francia, dove vive da allora.

Tutta l’opera di Patrik Ourednik – dizionari “non convenzionali”, saggi, romanzi, poesie, parodie – è segnata dall’interesse per le idee, i pregiudizi e gli stereotipi, esaminati attraverso la lingua, espressione, a suo avviso, de “la verità di un’epoca”: «Quanto a me, cerco di applicare un principio un po’ diverso, a partire dal presupposto che è possibile prendere come sinonimo della “verità di un’epoca” la lingua di quell’epoca, in altre parole, prendere un certo numero di tic linguistici, stereotipi e luoghi comuni e fare in modo che agiscono e si confrontino allo stesso modo dei personaggi di un racconto tradizionale». [2].

Principali opere in prosa

Anno ventiquattro (1995) riprende i “giochi di memoria” di Joe Brainard e Georges Perec. La base di queste “discese” nella memoria dell’autore consiste di ricordi frammentari, introdotto dalla formula “mi ricordo”. Da questi sprazzi di memoria, relativi agli anni 1965 - 1989, l’autore fa riemerge delle istantanee o della propria vita o di ciò che si conviene di chiamare i “grandi” avvenimenti della società. Lascia intravedere cliché specifici di una situazione particolare, dettagli imperituri, frammenti di discorso, truismi, tic attraverso il prisma del soggetto e del “vissuto” dell’autore. Lo sguardo di Ourednik rimane individualizzato, caratterizzato, senza tuttavia emettere giudizio alcuno sugli eventi. L’epoca si smaschera da sé, attraverso la sua lingua, che si ritrova improvvisamente sotto il microscopio dell’autore, sottratta al suo contesto di comunicazione collocato nel tempo.

Europeana (2001) propone, come dice il suo sottotitolo, una “breve storia del Ventesimo secolo”, raccontata non da un punto di vista oggettivo, ma come “dal basso”. Il racconto non segue la linearità cronologica, non costruisce una gerarchia tra gli eventi dell’epoca, non cerca legami di causa-effetto, e infine personifica la storia. Sulla scorta di Bouvard e Pécuchet [3], al cuore di Europeana si trova la “lingua del XX secolo”: discorsi diffusi e indifferenziati, concentrati e sistematizzati, che richiamano, indistintamente, in un inventario assurdo che va dalla Prima Guerra Mondiale al Millennium bug, la morte di Dio e la televisione, Buchenwald e positivismo, l’emancipazione delle donne e l’invenzione della scala mobile.

Istante propizio, 1855 (2006). Si ritrova lo stesso progetto di scrittura – la resa della “verità di un’epoca” con l’adozione della sua “lingua” specifico, la sola che possa renderla udibile – Istante propizio, 1855, liberamente ispirato a un’esperienza anarchica tentata in Brasile nel 1890, racconto polimorfo di un’utopia libertaria che si perde in chiacchiere. Come già Europeana, Istante propizio ripercorre le manifestazioni della stupidità umana ponendosi al loro interno: scorciatoie di pensiero e formule preconfezionate, espressioni ideologiche di un tempo, truismi universali.

In Ad acta (2006), definito dal suo postfatore come “falso giallo ma vero thriller metafisico” [4], Ourednik ritorna a Praga, la capitale di un “nuovo paese senza nome”. Aprendosi come un testo di Queneau, il romanzo si rivela a poco a poco una trappola per il lettore: frustrando le aspettative del “romanzo”, Ad acta elude il conformismo romanzesco. Sempre secondo il postfatore, «Ourednik è stato in grado di portare a compimento […] il progetto flaubertiano di scrivere un libro su nulla» [5]. Ourednik stesso aveva indicato una pista in un’intervista concessa nel 2007 alla rivista «Labyrint»: «Come scrivere su nulla? Cos’è nulla? Un vuoto riempito della lingua in senso sia proprio che figurato. L’illusione di un’esistenza degna di essere espressa, l’illusione di una storia degna di essere raccontata, l’illusione di una coerenza degna di essere dimostrata. La vita umana nelle sue tre forme: io esisto (esistenza), vado da un punto a un altro (storia), un senso emerge (coerenza). Questo libro ci potrebbe anche intitolarsi Se solo» [6].

Bibliografia completa qui.


[1Lanciata nel 1979 dal Comitato per la difesa dei perseguitati (VONS).

[2«Soirée littéraire consacrée à l’oeuvre de Patrik Ourednik», Cercle de réflexion, Communauté européenne, 2009.

[3Florence Pellegrini, « Flaubert et Ourednik : Histoire en farce », Seminaire Flaubert 2010-2011, ENS, le 2 avril 2011, in Flaubert, l’empire de la bêtise, éditions Cécile Defaut, Paris 2012.

[4Jean Montenont, Libre suite à Classé sans suite, p. 169 dell’edizione francese.

[5Ibid., p. 175.

[6Ibid., p. 175.