“Europeana”: una dissacrante, fulminante controstoria del XX secolo
Cristiano Sanna
Tiscali, 25 luglio 2011
Per una volta non rischiamo di usare frasi fatte ed espressioni a buon mercato se scriviamo che Europeana, di Patrik Ourednik (pubblicato dall’editore Duepunti), è un libro che non assomiglia a nessun altro. Riassume, dissacra e massacra allegramente la storia del Vecchio Continente durante il XX secolo e lo fa con uno stile ed un approccio che lasciano senza fiato. A cominciare dall’uso della lingua. Ourednik srotola un velocissimo serpentone di parole che, letteralmente, risuonano in modo allo stesso tempo disturbante ed esilarante nella testa del lettore. È come se un extraterrestre, con il dono dell’affabulazione, raccontasse per la prima volta a noi umani la nostra storia recente. Si ride tanto, ma il ghigno si blocca spesso a metà, con un retrogusto di disagio e la sensazione di aver perso la direzione.
L’inutilità della storia
Nella rievocazione di Ourednik (enciclopedista, traduttore, linguista di origine ceca che vive da tempo in Francia), le guerre, le teorie, le idee filosofiche e religiose, le invenzioni, e di nuovo le guerre, gli orrori e il modo di tentare di metabolizzarli da parte della coscienza comune, trascorrono davanti agli occhi del lettore in pochi attimi. È come se il XX secolo durasse un quarto d’ora, una guerra si consumasse in un giorno, un ritrovato tecnologico perdesse di significato in appena qualche secondo e decenni di strampalate teorie sociologico-politico-razziali bruciassero come fogli di carta velina esposti al fuoco. Vorticando in un turbine di conseguenze, spesso nefaste, spessissimo ridicole, seminate attraverso anni di mode, di fanatismi, di sangue. Il linguaggio è come stranito, il narratore fa una rassegna di fatti, cita cifre, fenomeni, aggiunge a grandi scenari (ad esempio quello, che torna ossessivo, delle varie teorie e degli esperimenti per migliorare la razza umana) piccoli fatti privati. Come nell’episodio dell’ex carnefice nazista impazzito dopo essersi reso conto che si era lavato per anni con il sapone fabbricato con il grasso della sua ex amante ebrea, finita in camera a gas. O in quello che riguarda l’impiegato tedesco, licenziato in appena 24 ore dal grande marchio di automobili per cui lavorava, per non aver spostato abbastanza velocemente la sua macchina dal parcheggio di fronte alla fabbrica, un mezzo troppo vecchio e inquinante di fronte ai nuovi parametri di sostenibilità tecnologico-ambientale divenuta di colpo un credo incapace di ammettere eccezioni e men che mai transizioni. A cosa serve la storia? Perché condividiamo il continuo riflusso della rimozione della memoria? Ourednik fa passare per la coscienza del lettore, a intervalli regolari, questa domanda.
Lampi che illuminano un secolo, ma per poco
Europeana è, anche, una saponetta che scappa in ogni direzione di fronte alla mano che tenta di stringerla sempre più saldamente. Un libro difficile da raccontare e spiegare, ma godibilissimo da leggere. Con lampi che illuminano un secolo che sembra essere stato solo un grande scherzo, una cosa a metà fra la burla e la truffa. La sensazione torna in frammenti come: “Gli psicanalisti dicevano che la storia interrotta era come un coito interrotto nel quale il compimento non è la conseguenza naturale di un atto spontaneo ma un modo di eliminare la frustrazione”. O come: “Nel 1989 un politologo americano inventò la teoria della fine della storia secondo la quale la storia era giunta alla fine perché la scienza moderna e i nuovi mezzi di comunicazione avrebbero permesso a tutti di vivere nel comfort (...) E che il cittadino era a tutti gli effetti un consumatore (...) e che tutte le forme di organizzazione della società tendevano verso la democrazia liberale che a sua volta avrebbe condotto alla scomparsa di tutte le forme autoritarie di governo e alla libertà politica ed economica e all’uguaglianza e ad una nuova era della storia dell’umanità e che allora la storia non avrebbe avuto ragione di esistere”. Con postilla finale, e micidiale: “Ma molti non conoscevano questa teoria e continuavano a fare storia come se niente fosse”. Ci siamo avvitati su noi stessi, pare volerci dire Ourednik, e questa spirale, resa ancora più ridicola dalle giustificazioni filosofico-ideologiche di cui ci siamo foderati la mente, è ancora lì che ci stringe tutti, sempre di più. Per cui ridiamocela, finché abbiamo il fiato per farlo.