Slec (Francesco M.)

martedì 20 gennaio 2015
di  NLLG

Europeana di Patrik Ourednik

Francesco M.

Slec

28 agosto 2015


Una corsa nel un secolo in 150 pagine, fissando alcuni fatti grandi e famosi e tanti “piccoli” e importanti lo stesso.

Storia che diventa letteratura, una lettura davvero interessante e diversa, per chi ama la storia e la letteratura, dopo piaceranno di più entrambe.

Tanto per cominciare, c’è tutto. Il Novecento, intendo. Gli eventi chiave, cenni di storia sociale e scientifica, le parole d’ordine, gli anni imprescindibili, i nomi che non si possono non citare. Ma questo tutto è narrato mediante un flusso di parole compatto che non ha nulla a che spartire con la saggistica classica. Gli spazi tra paragrafo e paragrafo sembrano i respiri di un monologo teatrale. Non esistono capitoli. Gli unici titoletti si trovano a margine, ma non assolvono al compito che la saggistica tradizionale assegna loro, quello cioè di indicare di cosa si sta parlando in quel brano. Al contrario, per quanto riprendano degli effettivi tag di testo, hanno piuttosto una funzione evocativa e graffiante. Quasi a sottolineare come due parole estrapolate dal contesto possano significare altro, anzi: qualsiasi (altra) cosa. E il sarcasmo sornione dell’autore non si ferma qua, dal momento che l’indice si genera in automatico listando i titoletti a margine con tanto di pagina di riferimento. Qualche esempio? I soldati si sparavano a palombella, I cavalli erano morti, Dio esiste, Ristabilire l’istanza trascendentale, Lo sguardo torvo…

Questa “breve storia del XX secolo” (come recita il sottotitolo) è raccontata da Ourednik attraverso il filtro straniante di un osservatore “esterno” che vede gli avvenimenti, li descrive, ma sembra non riconoscerli: il suo sguardo è infatti attratto più dalla combinazione di luoghi comune e aneddoti che dall’importanza storica degli avvenimenti stessi. È come se in un batter d’occhio la complessa storia politica, economica, sociale e culturale del XX secolo fosse stata trasportata sulle pagine della cronaca di un giornale di terz’ordine. E improvvisamente la nostra memoria entra in un corto circuito senza uscita: riconosciamo gli episodi narrati, ci stupiamo della loro tragica stupidità, e paradossalmente solo allora ne percepiamo fino in fondo la mostruosità. Attraverso questo specchio deformato guerra, positivismo, corruzione dei costumi, scoperta dei contraccettivi e del reggiseno, sette religiose, mode, psicoanalisi, eugenetica, genocidi, camere a gas, scientology, la bambola Barbie, nazismo, comunismo, e i mille altri slogan del XX secolo che ancora risuonano nelle nostre orecchie, sono resi ancora più folli dall’apparenza “storica” del romanzo (ulteriormente accentuata dai titoletti a margine dei paragrafi, che avvicinano anche tipograficamente il libro a un manuale liceale, se non addirittura a una cronaca medievale)…

“Ciò che mi interessa nella scrittura – in quella degli altri come nella mia – è quello che di solito viene definito «la verità di un’epoca». Il termine è senz’altro estremamente vago perché in ogni epoca esistono e coesistono verità diverse, verità molteplici. Il gioco consiste allora nel tentativo di raccogliere, di abbracciare questa moltitudine, questa pluralità di cose. Un autore dispone di diversi mezzi, il più consueto dei quali è il confronto dei destini, delle vite umane nell’ottica della microstoria. Per quanto mi riguarda, tento, almeno in alcuni dei miei libri, di applicare un principio un po’ diverso, a partire dalla premessa che è possibile prendere come sinonimo della «verità di un’epoca» la lingua di quell’epoca, il che significa appropriarsi di un certo numero di tic di linguaggio, di stereotipi e di luoghi comuni per fare in modo che agiscano e che si confrontino alla stessa stregua dei personaggi di un racconto tradizionale”. (P. Ourednik)


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