Il Manifesto (Stefano Gallerani)

domenica 18 marzo 2012
di  NLLG

Borgesiane pagine di vino

Stefano Gallerani

Il Manifesto, 20 giugno 2009


Per vie imprevedibili e singolari, il rabelaisiano Trattato sul buon uso del vino (trad. di Alessandro Catalano) viene presentato oggi sulla scorta dell’edizione moderna del manoscritto ritrovato nella Biblioteca del Museo Nazionale di Praga da Patrik Ourednik. Una ventina di pagine attribuite all’autore del Gargantua et Pantagruel e tradotte nel Seicento da tale Martin Carchesius, alias Martin Kraus de Krausenthal. I riferimenti all’opera maggiore sono molteplici, da quelli testuali a quelli stilistici. Per tacere, poi, della firma apposta in calce al frontespizio: Maestro Alcofribas, ovvero l’«Astrattore di Quintessenza» Alcofribas Nasier, e cioè lo pseudonimo anagrammato con cui Rabelais pubblicò il Pantagruel per sfuggire alle censure della Sorbona. Se a questo si somma la discussa paternità delle tavole che corredano il testo, attribuite da alcuni all’editore Richard Breton e rivisitate nel 1973 da Salvador Dalì; e se si considera, di più, che non si tratta, in fondo, che di un bestiario faceto «dove sono contenute di molte figure d’invenzione di Mastro Francois Rabelais» – di cui Les Songes drolatiques de Pantagruel, collazionati «per lo svago degli spiriti buoni», sarebbe l’ultima opera; ebbene, tutto ciò premesso, possiamo davvero dire di essere di fronte a un’impertinente spirale borgesiana, come se il volumetto non fosse che uno scherzo fuggito alla raccolta che include il Chisciotte di Pierre Menard. Una mistura spumeggiale vendemmiata, magari, nella vigna della Butte, a Montmartre. Solo dato certo, il saggio inedito di Marcel Schwob in coda: sebbene non sia specificato, è una recensione stesa nel 1891 dall’autore de Le vite immaginarie a un libro apparso nello stesso anno: Rabelais: ses voyages en Italie, san exil a Metz, di Arthur Heulhard.

Quanto alle pagine di Rabelais (o presunte tali), è sufficiente dire che vi si fa un’apologia sfrenata del nettare di Bacco, senza tentare di ridurre in altri termini la loro effervescenza pantagruelica, «che come dice il proverbio, quando il vino è buono, l’uscio della taverna non abbisogna di tappo».